Deposito telematico di atti diversi da quelli previsti ex lege: muta la giurisprudenza – avv. Maurizio Reale

Le ordinanze dei Tribunali di Milano (7 ottobre 2014), Brescia (07 ottobre 2014), Vercelli (04 agosto 2014), Udine (28 luglio 2014) e Bologna (16 luglio 2014) mutano completamente l’orientamento giurispudenziale pressochè univoco e che ormai sembrava consolidarsi, relativo all’ammissibilità e validità del deposito telematico di atti diversi da quelli endoprocessuali così come indicati dall’art. 16 bis del DL. 179/12, in assenza del “valore legale” del decreto ex art. 35 del DM 44/11 rilasciato dal Ministero della Giustizia.

Nelle citate ordinanze ed in particolar modo in quelle di Milano, Brescia e Bologna, viene adesso accolto il principio per il quale non possa essere sanzionata la parte che depositi telematicamente atti diversi da quelli endoprocessuali indicati dall’art. 16 bis del DL. 179/12, in assenza del “valore legale” del decreto ex art. 35 del DM 44/11 rilasciato dal Ministero della Giustizia.

Sul punto avevo già avuto modo di esprimermi, unitamente ai colleghi Adriana Augenti, Patrizio Galeotti, Nicola Gargano, Francesco Minazzi e Fabrizio Sigillò, commentando sia l’ordinanza del Tribunale di Foggia del 10 aprile 2014, sia l’ordinanza del Tribunale di Padova del 1 settembre 2014 sostenendo in tempi non sospetti, in punto di diritto, argomentazioni e conclusioni del tutto diverse da quelle indicate nei predetti provvedimenti, fermamente convinto che il deposito telematico di atti non potesse riguardare solo ed esclusivamente quelli endoprocessuali indicati dall’art. 16 bis DL 179/12, ma anche gli altri (introduttivi o di costituzione) pur in assenza del “valore legale” del decreto ex art. 35 del DM 44/11 rilasciato dal Ministero della Giustizia evidenziando che, nel nostro ordinamento non fosse esistente norma alcuna che conferisse a DGSIA (nell’emanare il decreto ex art. 35 DM 44/11) da un lato il potere di indicare quali fossero gli atti da depositarsi telematicamente e, dall’altro, che prevedesse e riconoscesse giuridicamente quello che, impropriamente, veniva e viene definito “valore legale”, senza dimenticare che, pur non volendo aderire a tale interpretazione, il Giudicante avrebbe dovuto comunque applicare due principi: il principio della libertà di forme (art. 121 c.p.c.) “gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo” e il principio del raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c.) il quale prevede che “non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo se la nullità non è comminata dalla legge” e che “la nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.

Ciò che più colpisce nelle decisioni assunte dai magistrati dei Tribunali di Milano e Brescia, oltre al coraggio di andare in controtendenza e, quindi, smentire quelle dei colleghi di Padova, Foggia, Pavia, Roma e Torino, è che avrebbero potuto risolvere e decidere le questioni processuali ai medesimi prospettate facendo solo presente che, in quegli Uffici Giudiziari, già sussisteva il cd. “valore legale” ex art. 35 DM 44/11 per il deposito telematico degli atti oggetto di contestazione (comparsa di costituzione telematica); ciò nonostante hanno voluto approfondire la tematica e “chiedersi quindi se la validità di un deposito di un atto processuale possa essere fatta dipendere da un provvedimento amministrativo (come risulta essere il decreto del direttore del DGSIA) o se invece occorre procedere alla applicazione del codice di rito per verificare se possa essere sanzionato il deposito di atti in via telematica pur in assenza di una disposizione di legge che conferisca tale potere. Ebbene … anche a prescindere dalla esistenza del decreto dirigenziale, la comparsa di costituzione e risposta depositata telematicamente deve essere in ogni caso considerata rituale e quindi pienamente efficace.

Deve essere preliminarmente rilevato come nessuna norma né legislativa né regolamentare abbia conferito alla DGSIA il potere di individuare il novero degli atti depositabili telematicamente oppure la tipologia di procedimento rispetto alla quale esercitare la facoltà di deposito digitale.

Invero, l’art. 35 del DM 44/11 si limita a prevedere che alla DGSIA spetti esclusivamente il potere di accertare e dichiarare “l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio”.

Pertanto, non può essere demandato alla DGSIA la individuazione di quali atti possano o meno essere depositati in via telematica, ma occorre esclusivamente verificare se l’atto depositato telematicamente sia idoneo allo scopo per cui è destinato e se esiste nel nostro ordinamento una sanzione di carattere processuale per il deposito degli atti introduttivi e di costituzione nel giudizio.

Il codice di procedura civile prevede due principi generali unanimemente riconosciuti dalla giurisprudenza e dalla dottrina:
a) il primo, denominato principio della libertà di forme, lo si trova sotto l’art. 121 del codice di rito, secondo cui “gli atti del processo, per i quali la

legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo”;

b) il secondo, denominato principio del raggiungimento dello scopo, è specificato nell’art. 156 c.p.c.. Tale fondamentale articolo prevede innanzitutto che “non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo se la nullità non è comminata dalla legge”. Il secondo comma aggiunge che “ può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”. L’ultimo, e più rilevante, comma sancisce infine che “la nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.

Appare evidente come tali principi debbano essere verificati alla luce della normativa prevista in materia di atti informatici, e in particolare sulla base del Decreto Legislativo 7 marzo 2005 n. 82 ossia del c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale, ove è previsto che:

– il documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale che rispetti le regole tecniche ha la stessa efficacia prevista dall’art. 2702 c.c. (cfr. artt. 20 e 21);

– i documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico idoneo ad accertarne la fonte di provenienza soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale (art. 45).

Ora, appare evidente come il difensore che si costituisca in giudizio telematicamente soddisfi tutti i requisiti di forma sanciti dal codice di procedura civile in quanto:

a) sottoscrive la comparsa con firma digitale;
b) effettua il deposito utilizzando le regole tecniche e le specifiche previste dalla normativa regolamentare del PCT;

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c) supera il controllo della cancelleria la quale certifica il deposito della comparsa e dei documenti allegati;

d) l’atto e i documenti sono messi a disposizione del Giudice e delle altre parti processuali, che possono evitare l’accesso in cancelleria potendo visionare la comparsa e i documenti depositati direttamente tramite la consolle dell’avvocato (risultato che, oltretutto, è uno degli obiettivi del legislatore, ossia quello di diminuire gli accessi nelle cancellerie).

In conclusione, in alcun modo può essere sanzionata la parte che si costituisca in via telematica.

Oltretutto, nel nostro ordinamento le sanzioni processuali debbono essere previste specificamente dal legislatore.

La sanzione dell’inammissibilità, ad esempio, è prevista nel nostro ordinamento in maniera tassativa, ma nessuna norma sanziona con tale istituto il deposito degli atti introduttivi in via telematica.

Infine, la prova che il legislatore abbia già considerato possibile il deposito telematico degli atti introduttivi e di costituzione in giudizio risulta dall’art. 83 c.p.c. in tema di procura alle liti.

Il comma 3 di tale articolo prevede testualmente che “Se la procura alle liti è stata conferita su supporto cartaceo, il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette la copia informatica autenticata con firma digitale….” (Tribunale Ordinario di Milano, quarta sezione civile, 7 ottobre 2014).

Alle stesse conclusioni, con gli stessi rilievi e argomentazioni, giunge anche il Tribunale Ordinario di Brescia, Sezione Lavoro con l’ordinanza del 7 ottobre 2014.

Situazione diversa su Bologna nel quale Tribunale invero, come rilevato dal Giudante, non esisteva per la tipologia di atto (ricorso introduttivo in materia di lavoro) depositato telematicamente in giudizio il decreto ex art. 35 DM 44/11; nel caso di specie il Giudicante deve quindi pronunciarsi in merito alla eccezione sollevata dalla parte resistente: “…A tal fine deve farsi riferimento, in primo luogo, ai principi generali regolanti il processo civile ed anche a quelli contenuti nel Codice dell’Amministrazione Digitale, dovendosi distinguere tra validità dell’atto processuale e validità del deposito, posto che nessuna disposizione menziona l’espressione “valore legale”, tipicamente utilizzata per indicare la possibilità o meno di depositare telematicamente l’atto.

In relazione alla validità dell’atto processuale telematico, secondo il principio generale contenuto nell’art. 121 c.p.c. gli atti del processo, per cui la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo. Ciò comporta che, in forza di questo principio, le forme devono essere rispettate solo e nei limiti in cui sono necessarie per conseguire lo scopo obiettivo cui sono destinate ossia per assolvere alla loro funzione di garanzia e obiettività.

L’art. 125 c.p.c. indica la forma-contenuto degli atti di parte e ha la funzione di individuare quale sia il contenuto minimo degli atti scritti di parte nel processo. Tutti gli atti suddetti devono essere sottoscritti dalla parte, se sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore. Pertanto, è indubbio che anche l’atto telematico debba rivestire forma scritta, come prevede espressamente l’art. 21, comma 2, del “Codice dell’Amministrazione Digitale” Dlgs. 7.5.2005 n. 82, come modificato dal Dlgs. 30.12.2010 n. 235 -cui il difensore appone la firma digitalmente- richiamato dall’articolo 20, comma 1bis, del CAD, secondo cui “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, […] fermo restando quanto disposto dall’articolo 21” medesimo.

Ne deriva, secondo il giudicante, la piena validità dell’atto processuale informatico, se redatto in conformità alle norme citate, alle Regole Tecniche contenute nel DM 44/2011 ed alle Specifiche Tecniche del PCT . Resta fermo, in ogni caso, il principio generale di cui all’art.156 c.p.c. per il quale l’atto eventualmente invalido, se ha raggiunto lo scopo cui è destinato, come è pacificamente avvenuto nel caso in esame, non può essere dichiarato nullo, mentre qualora lo scopo non fosse stato raggiunto, sarebbe stata disposta la rinnovazione della notifica, con salvezza dell’atto.

Quanto alle modalità di deposito, non si ritiene condivisibile la tesi dell’inammissibilità, posto che la suddetta categoria giuridica è prevista dal nostro ordinamento processuale nei casi tassativamente previsti e solo in due ipotesi (opposizione di terzo, e revocazione) per gli atti introduttivi.

Giova ricordare, al riguardo, che l’inammissibilità del deposito telematico non è espressamente contemplata dalle Regole Tecniche le quali, in ogni modo, essendo fonte subordinata alla legge, non possono prevalere sul codice di rito ( cfr. Tribunale di Milano, sez. IX sentenza n. 3115 del 19.2.2014).

Non si ritiene, infine, fondata altresì l’eccezione d’inesistenza, essendo il ricorso formatosi validamente nel rispetto della normativa applicabile.
Alla luce di quanto premesso, viene ritenuta infondata l’eccezione d’inesistenza/ inammissibilità/nullità del ricorso depositato telematicamente…”(Tribunale Ordinario di Bologna, Sezione Lavoro, ordinanza del 16 luglio 2014).

La decisione del Tribunale di Udine del 28 luglio 2014 è relativa ad altra questione già oggetto di precedenti (e negative) pronuncie da parte dei Tribunali di Roma e Livorno, i quali non hanno esitato a dichiarare nullo, ai sensi del comma secondo dell’art. 156 c.p.c., il ricorso per decreto ingiuntivo depositato telematicamente in formato PDF immagine e non in PDF testo, come previsto dall’art. 11 comma 1 del DM 44/11 e dal correlato art. 12 comma 1 delle specifiche tecniche del 16 aprile 2014.

Il Tribunale di Udine decide in maniera diversa la medesima questione non dichiarando la nullità ai sensi del secondo comma dell’art. 156 c.p.c. ma, correttamente, invitando parte ricorrente a regolarizzare il deposito.

In conclusione se da una parte è possibile affermare che, fortunatamente, qualcosa è cambiato nel panorama giurisprudenziale inerente i depositi telematici effettuati in formato diverso da quello consentito o aventi ad oggetto atti non previsti dall’art. 16 bis del DL 179/12 non “assistiti” dal decreto ex art. 35 DM 44/11 dall’altra, pur auspicando che in presenza di analoghe situazioni prevalga, per il futuro, questa nuova giurisprudenza su quella precedente, è altrettanto auspicabile l’intervento del legislatore affinchè con norma stabilisca che, al di la di quanto disposto dall’art. 16 bis del DL 179/12, l’avvocato abbia la facoltà di depositare telematicamente ogni atto del processo; così facendo si raggiungerebbe un duplice scopo: il primo quello di scongiurare, definitivamente, l’adozione di provvedimenti privi di qualsiasi fondamento giuridico e dalle conseguenze pericolosissime sia per i colleghi (responsabilità professionale e deontologica) sia per la tutela dei diritti dei cittadini e, il secondo, quello di consentire che progressivamente il fascicolo processuale sia sempre più telematico e sempre meno cartaceo considerando altresì che ad oggi, nella maggior parte degli Uffici Giudiziari, non viene rispettato quanto previsto dall’art. 14 del DM 44/11 e dall’art. 15 delle specifiche tecniche del 16 aprile 2014 ossia l’obbligo, per le cancellerie, di trasformare in digitale tutto ciò che viene depositato in cartaceo.

Autore: avv. Maurizio Reale

Data di pubblicazione: 28/10/2014

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